In piena Lomellina, appena fuori Mortara, troviamo l’abbazia di Sant’Albino, un gioiello del Medioevo pavese quasi nascosto, ma conservato con cura e amore.
Si raggiunge facilmente, sulla circonvallazione della città: un prato verde ben tenuto, alberi alti e una fila di rose rosa accolgono i visitatori.
La storia che l’abbazia di Sant’Albino ci racconta parte da molto lontano. Inizia nella seconda metà del IV secolo quando Gaudenzio, Vescovo di Novara, fece costruire alle porte di Mortara due cappelle, consacrate una a San Pietro e l’altra a Sant’Eusebio, di cui la seconda aveva anche la funzione di Chiesa parrocchiale di Mortara.
Le due cappelle erano a circa un chilometro e mezzo dalla cinta perimetrale della città ed erano una delle tappe del cammino dei pellegrini che dal Piccolo San Bernardo raggiungevano la Via Emilia verso Roma.
In questi quattrocento anni le due chiese furono molto frequentate, poi la Chiesa di San Pietro fu dimenticata da tutti, mentre Sant’Eusebio entrò nella storia dopo la battaglia del 12 ottobre 773, tra i Franchi di Carlo Magno e i Longobardi di Desiderio, combattimento che ebbe luogo proprio vicino alle due chiesette.
Nello scontro morirono due paladini francesi, Amelio d’Alvernia, coppiere del re, e Amico Beyre, tesoriere reale, che lo stesso Carlo Magno fece seppellire nel luogo della battaglia, Amico in San Pietro e Amelio in Sant’Eusebio.
Ma la leggenda dice che, il giorno dopo, le spoglie di Amico e di Amelio furono ritrovate l’una accanto all’altra sotto l’altare della Chiesa di San Eusebio.
Dopo il miracolo, padre Albino, monaco e consigliere di Carlo Magno, fece erigere in quel luogo un monastero, vicino alla chiesa di Sant’Eusebio, cui Carlo Magno aveva concesso larghe dotazioni terriere, mentre nella foresteria annessa alla chiesa, vi si stabilirono alcuni monaci dell’ordine di padre Albino, diventato poi vescovo di Vercelli.
La struttura di Sant’Albino ha mantenuto l’originaria costruzione romanica dell’abside, risalente al XII secolo, mentre gli adattamenti della facciata e della navata sono rinascimentali.
L’elegante campanile cuspidato che si eleva nel fianco sinistro, ricostruito dopo essere stato raso al suolo nel 1253 dalle milizie milanesi, ha una forma quadrangolare e culmina con la cella campanaria sormontata da una cuspide ottagonale.
Vicino alla chiesetta ci sono alcuni edifici facenti parte dell’antica abbazia, come una monofora gotica trecentesca in cotto, decorata da motivi agresti, pannocchie e grappoli d’uva, che si affaccia sulla corte interna.
Il pregevole paliotto dell’altare maggiore, che è stato restaurato nell’anno 2000 a cura del Lions Club Mortara-Silvabella, è del 1713, reca lo stemma del commendatario dell’epoca, Mons. Giovan Battista Barni, ed è stato decorato con Sant’Albino e motivi a grottesche.
Sul lato destro della navata, in una nicchia protetta da una grata, si vede un’urna di legno nella quale sono contenute alcune ossa, che furono scoperte nel 1928 da monsignor Luigi Dughera nel corso di una ricognizione sotto l’altare dell’abbazia.
Gli esami effettuati nel 1999 dall’Istituto di Medicina legale dell’Università di Pavia, tra cui anche il test del Carbonio 14 condotto presso un laboratorio specializzato del Massachusetts, hanno stabilito che il tempo di giacenza minima delle ossa è di circa mille anni, in un’epoca molto vicina a quella della battaglia di Carlo Magno.
Nella nicchia, ai lati dell’urna, sono posti i due verbali di ricognizione e traslazione delle ossa, e un tempo c’era anche un Polittico di Paolo de Caylina, pittore bresciano, che nel 1458 ne dipinse per l’abbazia uno a cinque comparti, con la Vergine col Bambino seduta sopra un trono circondata da Angeli, i Santi Albino, con mitra e pastorale, Lorenzo, con l’emblematica graticola, e i Martiri Amico e Amelio armati di spada.
Oggi il dipinto dal 1840 fa parte delle collezioni della Pinacoteca Sabauda di Torino, ma una sua foto si può vedere presso l’aula capitolare dell’abbazia.