Le festività natalizie del cuore dell’inverno erano ricche di stratificazioni di credenze e rituali, dove il passaggio del sole nel cielo solstiziale, che è visto come il giorno più corto dell’anno, era accolto un tempo nella paura che il gelo e l’oscurità potessero sconfiggere la luce.

La maggior parte dei popoli antichi considerava il sole come un dio e credeva che dovesse essere aiutato durante il solstizio invernale contro le forze del male e dell’oscurità, riuscendo a sconfiggerle, ma non davano la vittoria per scontata.

Nelle terre del Nord erano celebrati i rituali per assicurare la rinascita del sole con la Festa di Yule, dove il fuoco, fratello del sole, era al centro del rito, mentre la gente si mascherava con teste di cavallo, corna di cervo, pelli di daino e danzava alla luce del fuoco.

Di origine germanica ma diffusasi anche tra i Celti, Yule era la festa che si celebrava per aiutare il sole nella sua lotta contro le forze dell’oscurità.

Tra norreni e germani la festa aveva un carattere oscuro con animali sacrificati, Odino sul suo bianco destriero e il corteo di guerrieri fantasmi in una caccia spettrale, ma era anche un periodo di canti e danze, di banchetti e di colossali bevute per portare luce e calore nel gelido inverno.

Presso i norreni si venerava Freyr, dio della bellezza e della fecondità con la grande festa di Frdblod, dove i guerrieri, riuniti nella casa del capo, uccidevano i loro cavalli e il sangue era spruzzato sul pavimento e sulle teste dei presenti.

In Irlanda per il giorno di Santo Stefano si svolgeva la caccia dello scricciolo, un rituale celtico dove secondo la tradizione lo scricciolo era il simbolo di Lugh, Figlio della Luce trionfante e il suo sacrificio era un tributo agli spiriti della Terra per ottenere favori e fortuna.

Oggi il ricordo dei sacrifici e del sangue versato è conservato nell’hoodening, il simulacro di una testa di cavallo e un mantello condotta per le strade del villaggio da un domatore che la tiene per le briglie.

Ma su quelle lunghe notti arriva la tradizione del ceppo di Natale, un grosso tronco portato in casa il giorno di Natale che doveva bruciare lentamente per le 12 notti della festa.

Il tronco era preparato seguendo precisi cerimoniali, con canti e benedizioni, e decorato con nastri e sempreverdi, poi lo si portava in casa per sistemarlo nei grandi camini e si manteneva acceso fino all’Epifania, così quel ceppo proteggeva la casa dagli incantesimi delle forze maligne, infine le ceneri erano sparse sopra i campi per renderli fertili.

Ai nostri giorni per celebrare la festa secondo le vecchie tradizioni si decora un tronchetto con candele e sempreverdi, in modo da trasformarlo in un bel centro tavola che illumini le cene delle festività natalizie.

Nella zona del Mediterraneo, il fuoco bruciava sotto forma di candele durante le feste dei Saturnali, inoltre si adornavano le case con agrifoglio, edera e vischio per sostenere il sole morente dell’Inverno, mentre il sempreverde era la speranza della vittoria del Sole e del rinnovarsi della vita contro le forze del male e dell’oscurità.