A chi va nelle fiabe la sorte meravigliosa? A colui che senza speranza si affida all’insperabile.
(Cristina Campo, Gli imperdonabili)
Scrittrice, poetessa e traduttrice, scomparsa quarantatré anni fa, Cristina Campo visse una vita sospesa tra sogno e realtà, con un forte interesse per il mondo della fiaba.
La Campo nacque a Bologna il 28 aprile 1923 da Guido Guerrini, musicista e compositore originario di Faenza, ed Emilia Putti, nipote di Enrico Panzacchi e sorella di Vittorio, celebre chirurgo ortopedico.
Per una congenita malformazione cardiaca, Cristina crebbe isolata e non poté seguire regolari studi scolastici.
Fino al 1925 la famiglia Guerrini visse presso la residenza del professor Putti, poi si trasferì a Parma, e dal 1928 a Firenze, dove Guido diresse il conservatorio Cherubini.
L’ambiente culturale fiorentino fu determinante per Cristina, a cominciare dall’amicizia con il germanista e traduttore Leone Traverso, cui fu legata anche sentimentalmente, poi conobbe Mario Luzi e Gianfranco Draghi, Gabriella Bemporad e Margherita Pieracci Harwell, che anni dopo curò la pubblicazione delle opere postume della Campo.
Il padre della poetessa nel 1945 fu internato in un campo di concentramento degli alleati perché simpatizzante del fascismo, e lei fece da interprete per tedeschi e americani.
Cristina restò a Firenze fino al 1955, poi si trasferì a Roma, dove il padre diresse il conservatorio di Santa Cecilia e il Collegio di Musica.
In questa città la poetessa fece nuove amicizie, come Margherita Dalmati, Roberto Bazlen, María Zambrano e il dottor Ernst Bernhard, lo psicoanalista che introdusse le tecniche di Carl Gustav Jung in Italia, che la guarì da una fastidiosa agorafobia.
Nel 1956 presso l’editore Vanni Scheiwiller di Milano, apparve il suo debutto, la raccolta di poesie Passo d’addio.
Al 1958 risale l’incontro di Cristina con lo studioso e scrittore Elémire Zolla, con cui ebbe una travagliata relazione. Nel 1962 uscì per Vallecchi il volume di saggi Fiaba e mistero, poi confluito nel libro successivo, Il flauto e il tappeto, edito nel 1971 da Rusconi.
L’ultimo decennio della sua vita vide la poetessa molto interessata alle tematiche del sacro e della spiritualità, fondando la prima associazione di cattolici tradizionalisti, Una Voce, alla cui vicepresidenza onoraria fu nominato Eugenio Montale.
Il suo amore per la liturgia all’Abbazia benedettina di Sant’Anselmo sull’Aventino a Roma, dove si cantava ancora il rito gregoriano, e successivamente al Collegium Russicum.
Sulla rivista Conoscenza religiosa, diretta da Elémire Zolla, apparvero gli ultimi scritti della Campo, come il saggio Sensi soprannaturali e le poesie sacre ispirate alla liturgia bizantina.
Cristina Campo morì a Roma il 10 gennaio 1977, all’età di cinquantatré anni, per una crisi di scompenso cardiaco, ed è sepolta nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna.
Tra i pochi che scrissero della Campo in occasione della morte, ci furono Roberto Calasso, editore della Adelphi e lo studioso Alfredo Cattabiani, che nel suo ruolo di direttore editoriale della Rusconi aveva pubblicato Il flauto e il tappeto.
Alla sua vita la scrittore e saggista Cristina De Stefano ha dedicato il libro Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, edito nel 2002 da Adelphi.