Il suggestivo quartiere di Venezia Nuova, nel cuore di Livorno, attraversato da canali e ponti, è un omaggio alla città veneta, con una storia tutta da raccontare.
L’incremento delle attività marittime e commerciali di Livorno, dal XII secolo, vide con il passar dei secoli un ampliamento degli spazi cittadini adibiti a case e magazzini, con un quartiere mercantile posto in comunicazione con il porto.
Tra il 1629 e il 1645 si procedette alla costruzione del quartiere di Venezia Nuova, ricavato sopra una zona strappata al mare e intersecato di canali, ricco dei palazzi di famiglie importanti come i Bartolomei sugli Scali del Pesce, i Bertolla in Piazza della Fortezza Vecchia, i Bicchierai e gli Huiguens in Via Borra, i Niccolai Gamba sugli Scali del Corso e altri ancora.
Il quartiere raggiunse il massimo splendore dopo che Cosimo III concesse l’insediamento nella zona di alcuni ordini Religiosi, come i Trinitari e i Domenicani, che costruirono bellissime chiese con importanti arredi e statue e stucchi di gusto Barocco, come la Chiesa di San Ferdinando Re e quella a pianta centrale dei Domenicani.
Nell’Ottocento, a causa delle trasformazioni del sistema portuale, il quartiere fu abbandonato dai ricchi mercanti e fu abitato dalla carovana degli scaricatori veneziani, che avevano l’esclusiva per la manipolazione del pesce salato, stoccafisso e baccalà.
Per molto tempo il quartiere ha avuto un carattere spiccatamente popolare, al punto che i suoi abitanti rivendicano ancora oggi un forte senso della solidarietà e la loro identità di appartenenza al loro quartiere.
C’erano nel quartiere due importanti teatri, il Teatro San Marco e il Teatro degli Avvalorati.
Il primo venne costruito nel 1806 dall’architetto Salvatore Piccioli e da Gasparo Pampaloni per conto di Luigi Gragnani e fu inaugurato tre anni dopo, il 27 aprile, con il sostegno dell’Accademia dei Floridi che invitò allo spettacolo inaugurale la regina di Etruria Maria Luisa, che da due giorni era in visita a Livorno e diede al teatro il nome del figlio Carlo Ludovico.
Nel 1848, col nome e stemma della prima accademia, si formò una nuova Accademia, che acquistò il teatro, poi nel 1883 questi fu venduto a privati.
Luigi Ademollo dipinse sul soffitto dell’edificio la reggia del sole e nel sipario il trionfo di Cesare dopo la vittoria sul re Farnace, nell’esterno dei palchetti, che erano 136, riccamente adornati e distribuiti in cinque ordini, c’erano ventiquattro episodi dell’Iliade.
Nel 1852, l’Accademia affidò all’architetto Cappellini il restauro del teatro, fu tolta la piccionaia al suo posto venne posta una balaustrata dipinta dai fratelli Medici che aggiunsero sui trofei del Tasca una serie di ornati.
Il teatro fu completamente distrutto durante la guerra e i dipinti di Ademollo purtroppo andarono persi.
Sui ruderi, dove si vedono sei colonne ioniche per cinque archi, è posta una lapide che ricorda la nascita del Partito Comunista Italiano nel 1921 in questo edificio.
Il secondo teatro venne inaugurato nel 1782, con l’Adriano in Siria del Metastasio, su musica di Luigi Cherubini, e fu eretto nelle vicinanze della chiesa degli Armeni, poi fu acquistato nel 1790 dall’Accademia letteraria degli Avvalorati, di cui adottò il nome e lo stemma.
Distrutto dai bombardamenti del 1944, al posto del Teatro degli Armani oggi c’è un grande viale che ne porta il nome.