Stefano Terra, pseudonimo di Giulio Tavernari, nelle sue opere raccontò la fine di un mondo, come in Le porte di ferro e Alessandra…
Nato a Torino nel 1917 da madre torinese e padre bolognese, Terra iniziò a lavorare a 13 anni, prima come operaio alla RIV, poi fu fattorino e il verificatore dei manometri alla Snia Viscosa, e nel 1937 era guardia di frontiera.
Dopo aver conosciuto un gruppo di giovani antifascisti, nel 1941 abbandonò l’Italia e raggiunse al Cairo gli esuli di Giustizia e libertà, con Umberto Calosso, Enzo Sereni e Paolo Vittorelli.
Collaborò al Corriere d’Italia e divenne il redattore capo dei Quaderni di Giustizia e libertà che avevano la loro sede al numero civico 3 di Haret Zoggheb, sempre al Cairo.
In quel periodo si spostò momentaneamente in Palestina, dove seguì il tentativo fallito di Enzo Sereni, di organizzare presso il kibbutz di Givat Brenner un sindacato che portasse avanti le istanze delle comunità ebraiche e arabe.
Alla fine del 1943 arrivò a Roma, pochi mesi prima che venisse liberata dagli Alleati, e nel 1945 era a Milano per dirigere il quotidiano Italia libera poi, chiamato da Elio Vittorini a Il Politecnico, affiancò Franco Calamandrei, figlio di Piero Calamandrei, allora deputato e direttore della rivista fiorentina Il Ponte, Franco Fortini, Vito Pandolfi e Albe Steiner, fino alla primavera 1946.
Nello stesso anno fu pubblicata in Francia, a puntate, sul Populair di Léon Blum, la traduzione del suo Il ritorno del prigioniero, una cronaca amara del fallimento di una generazione, poi nel 1946 partecipò come osservatore alla Conferenza della Pace che si inaugurerà il 29 luglio a Parigi presso il palazzo del Lussemburgo e nel 1950 era a Belgrado come corrispondente per la RAI e per l’ANSA, dove rimase per tre anni, seguendo gli sviluppi di quella che avrebbe voluto essere, una nuova forza fra i due blocchi.
In quel periodo incontrerà Tito che fu il protagonista del suo saggio Tre anni con Tito pubblicato al suo ritorno in Italia.
Successivamente, fu inviato speciale del quotidiano torinese La Stampa, tra Balcani e Levante e nel 1968 abbandonò il mestiere di giornalista per dedicarsi totalmente alla scrittura.
Nel 1974 vinse il Campiello con il romanzo Alessandra, storia di un diplomatico che sceglie di lasciare l’Italia per l’isola di Rodi nelle regioni dell’Attica, e del suo amore per la moglie Alessandra.
Il presente e il passato si alternano ed anche si mescolano dentro il flusso del tempo e della memoria.
L’arrivo di Alessandra riaccende nel console la paura di amare, ma lei pare stanca, lontana.
Infatti Alessandra è malata, il cuore le dà affanno ed è tornata da lui poiché sa che se dovesse morire vuole essere cremata, come gli aveva promesso.
Stefano Terra mori per un male incurabile il 5 ottobre 1986 all’età di 69 anni a Roma, dove si era stabilito con la moglie Emilia e la figlia Susanna.