54 anni fa a Firenze moriva Piero Jahier, poeta e scrittore tra i più originali del Novecento, con una vita spesso segnata da drammatiche vicissitudini…
Piero Jahier nacque l’11 aprile 1884 a Genova, dove la famiglia si trovava per una missione pastorale del padre Pier Enrico, pastore protestante dell’Unione cristiana apostolica battista.
A causa di vari problemi finanziari gli Jahier nel 1895 furono costretti a trasferirsi a Firenze, dove due anni dopo, il padre, preso da un improvviso rimorso per un adulterio, si tolse la vita nel Cimitero degli Allori.
Nel capoluogo toscano Piero, pur scosso dalla terribile tragedia, frequentò il liceo Dante e al termine degli studi superiori, nel 1903, grazie anche a una borsa di studio, s’iscrisse alla scuola di teologia valdese di Firenze.
Dopo soli due anni il ragazzo lasciò l’istituto, per l’incompatibilità della sua natura poetica con la dimensione, a tratti difficile, della fede protestante.
Le esigenze economiche spinsero Piero a richiedere di essere assunto dalla Società adriatica ferroviaria, e iniziò a lavorare a Bari, per poi essere trasferito a Firenze pochi mesi dopo.
Nel 1910 sposò Elena Rochat Cordey, anche lei figlia di un pastore, che gli diede quattro figli. Laureatosi in legge nel 1911, Jahier iniziò a collaborare con la rivista La voce e scrisse lavori come Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1915), Ragazzo (1919), Con me e con gli alpini (1919).
Nel 1915 lo scrittore partì volontario per il fronte, dove divenne prima sottotenente e poi tenente degli alpini, uomini che per lui simboleggiavano gli ideali della guerra democratica e rivoluzionaria, come raccontato nel diario bellico Con me e con gli alpini.
Con lo pseudonimo di Barba Piero Jahier diresse L’Astico. Giornale delle trincee, dedicato ai contadini arruolati nell’esercito italiano, che raccontava l’attaccamento alla terra e alla famiglia, contro la lotta di classe intrapresa dagli operai.
Al termine della Grande guerra, il poeta, seguendo una proposta dell’amico Giuseppe Prezzolini, divenne direttore della rivista Il Nuovo Contadino, sempre in aiuto ai contadini, ma i suoi sforzi furono sabotati dall’Associazione agraria toscana, che si rivelò ostile all’iniziativa.
Frustato, lo scrittore tornò a lavorare come impiegato nelle Ferrovie, e rifiutò il ruolo di redattore presso il giornale Il Popolo d’Italia, offertogli da Mussolini, per unirsi alla resistenza antifascista.
Con il regime che gli impediva di compiere azioni clamorose, Jahier si chiuse in un lungo silenzio, interrotto solamente dalle traduzioni degli autori inglesi e francesi che tanto amava.
Nel 1945, quando la sua casa bolognese in via Cesare Battisti fu rasa al suolo dai bombardamenti alleati, lo scrittore perse la moglie e da allora si dedico solo alla rilettura delle sue opere, come la rievocazione di un passato ormai perduto per sempre.
Dopo aver lavorato a Contromemorie vociane (1954), Qualche poesia (1962), Con Claudel (1964), ed i tre libri delle Opere: Poesie (1964), Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1965) e Ragazzo. Con me e con gli alpini (1967) Piero Jahier morì a Firenze il 10 settembre 1966, a ottantadue anni.