Il 20 settembre 1870, con la presa di Porta Pia, finiva la lunga storia del Risorgimento italiano, che aveva avuto una svolta nel 1861, con la nascita del Regno d’Italia, poi con l’annessione del Veneto nel 1867.
Il Lazio, rimasto sotto il dominio papale, era ormai un mondo a parte, inserito nei territori della monarchia costituzionale italiana e Napoleone III, alleato del Piemonte durante la Seconda guerra d’indipendenza, dichiarò che non avrebbe accettato la politica del fatto compiuto da parte degli italiani.
Nel frattempo il governo sabaudo decise lo spostamento della capitale da Torino a Firenze, il 3 febbraio 1865, ufficialmente con il pretesto della posizione più centrale, in realtà come esplicito avvicinamento a Roma, considerata la capitale ma per il momento irraggiungibile.
Vista la situazione, Giuseppe Garibaldi, ritiratosi a Caprera dopo la conquista del Meridione con l’impresa dei Mille, si imbarcò per la Sicilia il 27 giugno 1862 e, giunto sull’isola, raccolse un piccolo gruppo di volontari per una spedizione su Roma.
Nonostante la sorveglianza della Regia Marina, i volontari di Garibaldi sbarcarono in Calabria, dove si rifugiarono sui sentieri del massiccio dell’Aspromonte .
Lo sconto tra i volontari garibaldini e le truppe regie avviene il 29 agosto 1862 e, dopo pochi minuti di scontri, Garibaldi fu ferito a una gamba da una fucilata e la battaglia, durata circa dieci minuti, cessò immediatamente.
Prigioniero dell’esercito italiano, Garibaldi venne rinchiuso nella fortezza ligure del Varignano e fu liberato per un’amnistia il 5 ottobre 1862.
Cinque anni dopo, al termine della Terza guerra d’indipendenza italiana, Garibaldi, che era rimasto l’unico generale italiano amato dal popolo per le sue imprese, decise di riprovarci.
Un contingente garibaldino, dopo essersi riunito in Toscana il 17 ottobre 1867, entrò in territorio pontificio presso Monterotondo, ma un contingente francese, saputa la notizia, ebbe il tempo di sbarcare a Civitavecchia per sbarrare la strada alla capitale ai garibaldini.
I due eserciti si scontrarono il 3 novembre 1867 presso Mentana e, malgrado la sostanziale parità numerica, il contingente garibaldino fu sconfitto con gravi perdite dimostrando che, finché l’Impero francese si fosse impegnato a proteggere il Papa, nemmeno il Regno d’Italia e le sue truppe regolari avrebbero avuto la forza di conquistare Roma.
Ma nel 1870 la guerra franco prussiana, terminata con la battaglia di Sedan il 2 settembre e la caduta di Napoleone III, fece capire che ormai Roma era completamente indifesa.
Dopo una lettera di Vittorio Emanuele al Papa in cui si chiese di far entrare truppe sabaude a Roma col pretesto di proteggerlo, un corpo di spedizione sabaudo passò dall’Umbria allo Stato Pontificio.
La mattina del 20 settembre 1870 il contingente italiano, supportato dall’artiglieria, entrò a Roma dopo aver aperto una breccia nelle Mura Aureliane presso Porta Pia, mentre gli zuavi pontifici offrivano una resistenza solo simbolica.
Una volta entrate in città, le truppe italiane ebbero il preciso ordine di non occupare la Città Leonina, Castel Sant’Angelo e i colli Vaticano e Gianicolo.
I romani furono chiamati a confermare l’unificazione con un plebiscito e il Papa, dichiaratosi prigioniero del Governo italiano, si ritirò a Castel Sant’Angelo.
Roma divenne ufficialmente la capitale del regno il 3 febbraio 1871 e nel maggio successivo, per ripristinare rapporti cordiali con il papato, il governo introdusse la legge delle Guarentigie, per regolare, anche se unilateralmente, il rapporto con il pontefice.
Tali misure però non soddisfarono Pio IX, che chiuse ogni rapporto con lo Stato italiano e nel 1874, con la formula non expedit, vietò esplicitamente ai cattolici di prendere parte alla vita pubblica della nazione italiana, una disposizione poi superata solo col Patto Gentiloni del 1913, mentre i Patti Lateranensi del 1929 posero fine al lungo esilio del Pontefice in Vaticano.