Nella settimana che nel 1956 vide i giorni della rivolta degli ungheresi contro i comunisti, raccontiamo la vita di un uomo che diede tutto se stesso per l’Ungheria in quegli anni difficili…
Josef Mindszenty nacque, con il nome di Jozsef Pehm, il 29 marzo 1892 a Csehimindzsent, nella regione di Vas, al confine con l’Austria e la Slovenia, nei territori dell’impero austro-ungarico.
Ordinato sacerdote il 12 giugno 1915, Josef il 9 febbraio 1919 venne arrestato dal governo socialista di Mihaly Karoly e rimase in carcere fino alla fine del governo comunista di Bela Kun.
Nel 1941 cambiò il cognome per renderlo più ungherese, prendendo spunto dal nome del suo villaggio natale, e si unì al Partito dei Piccoli Proprietari, rivale del Partito Fascista delle Croci Frecciate.
Il 25 marzo 1944 fu consacrato vescovo della prestigiosa sede di Veszprem, ma il 26 novembre venne arrestato per essersi opposto al governo delle Croci Frecciate e accusato di tradimento, uscendo dal carcere solo nell’aprile 1945.
Il 15 settembre 1945 Mindszenty fu nominato Primate di Ungheria e arcivescovo della sede primaziale di Esztergom e Papa Pio XII lo elevò alla dignità cardinalizia il 18 febbraio 1946.
Nel 1948 il governo comunista ungherese bandì tutti gli ordini religiosi e il 26 dicembre Mindszenty fu arrestato e accusato di tradimento, cospirazione, e oltraggio all’ordinamento dello Stato.
Poco prima di essere arrestato aveva scritto una memoria, dove affermava di non essere coinvolto in nessuna cospirazione, e che ogni confessione in questo senso gli sarebbe stata estorta con la violenza, infatti, per tutto il periodo della prigionia fu ripetutamente torturato per fargli ammettere i suoi presunti crimini.
Il processo iniziò il 3 febbraio 1949 e l’8 Mindszenty venne condannato al carcere a vita per alto tradimento, mentre le autorità fecero circolare il Libro giallo, che raccontava le confessioni rese da Mindszenty sotto tortura.
Il 12 febbraio 1949 papa Pio XII lanciò la scomunica contro tutti coloro che sono coinvolti nel processo e nella lettera apostolica Acerrimo Moerore condannò pubblicamente le torture e l’incarcerazione del cardinale.
Il 30 ottobre 1956, durante la Rivoluzione Ungherese, Mindszenty fu liberato e il 2 novembre parlò in un messaggio-radio di sostegno alla rivolta.
Quando il 4 novembre l’esercito sovietico invase l’Ungheria, Mindszenty trovò rifugio nell’Ambasciata degli Stati Uniti a Budapest e vi rimase per 15 anni, senza alcuna possibilità di uscirne.
Dopo molti tentativi diplomatici di risolvere il caso della prigionia del cardinale portati avanti sia dal Vaticano che dagli Usa, si arrivò finalmente a un compromesso nel 1971, quando Papa Paolo VI accettò di dichiarare Mindszenty vittima della storia e non del comunismo e di ritirare la scomunica contro i suoi persecutori.
Il 28 settembre 1971 le autorità ungheresi diedero finalmente a Mindszenty il permesso di lasciare il Paese.
Il cardinale si trasferì a Vienna, ma rifiutò di andare in pensione e rimase quindi formalmente Primate di Ungheria fino al 1973, all’età di 82 anni e, in suo onore, il seggio primaziale rimase vacante fino alla sua morte, avvenuta il 6 maggio 1975.
All’inizio del 1976 papa Paolo VI nominò come nuovo Primate d’Ungheria il vescovo Laszlo Lekai, che ebbe un atteggiamento di forte sottomissione al governo Kadar fino alla sua morte, avvenuta il 30 giugno 1986.
Il ricordo del coraggioso cardinale Mindszenty è ancora oggi vivo in Ungheria, grazie all’opera dei due successori di Lekai, László Paskai, che fu testimone della fine del comunismo, e l’attuale primate Péter Erdő.