Nella primavera del 2021 si ricorderanno i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, che ebbe un curioso legame con la zona del delta del Po, ai confini del Veneto…
In Veneto l’autore della Divina Commedia visse nel 1306 tra Padova e la marca trevigiana e soprattutto, tra il 1313 e il 1318, dimorò a Verona.
A Rovigo c’è un monumentale esemplare di Quercus robur che fino al 2013, prima di crollare, vittima del maltempo, dominava l’argine del Po di Goro, vicino alla chiesa di San Basilio, un edificio sacro altomedievale attiguo al convento benedettino.
Nel 1321, per la seconda volta nella sua vita, Dante Alighieri si smarrì in una selva oscura, che però non era una metafora, come nella Divina Commedia, ma un vero bosco, fitto di rovi, rami intricati e acquitrini, che era il Delta del Po a quei tempi, ricoperto da ciò che rimaneva della foresta originaria della Pianura Padana.
Narra la tradizione che a salvarlo, in quel frangente, fu un’enorme quercia sulla quale il Sommo Poeta si arrampicò per potersi orientare e ritrovare la diritta via per Ravenna, dove morì a settembre.
Il riferimento storico per la leggenda è la sosta, documentata nel 1321, di Dante all’Hospitium di San Basilio, gestito dai monaci di Pomposa, una suggestiva abbazia delle pianure del ferrarese.
L’antico monastero benedettino di Pomposa comprende la Basilica con l’Atrio, il Campanile romanico, la Sala del Capitolo, la Sala a Stilate, il Refettorio, il Dormitorio e il Palazzo della Ragione, che ospitarono nel Medioevo un centro di spiritualità e cultura tra i più importanti al mondo.
Fra il VI e il VII secolo a Pomposa era avvenuto l’insediamento di un gruppo di monaci benedettini provenienti da Ravenna, che avevano scelto un’isola fra il Po ed il mare per il loro impegno di meditazione e laboriosità.
La prima notizia su Pomposa è però dell’anno 874, su una controversia giurisdizionale tra il Vescovo di Ravenna e il Papato.
Durante il secolo successivo il monastero preparò la sua indipendenza da San Salvatore di Pavia e da Ravenna, che avvenne nel 1001, grazie all’accordo sottoscritto dall’Imperatore Ottone III e il Papa Silvestro II.
Donazioni e privilegi accrebbero la potenza economica pomposiana, anche nelle limitrofe zone del Veneto e della Romagna e agli inizi del XIV secolo l’Abbazia di Pomposa aveva giurisdizione su 49 chiese sparse nell’Italia centro – settentrionale.
Con l’avvento di San Guido degli Strambiati ad abate di Pomposa (1008-1046) inizia il periodo più fecondo dell’abbazia benedettina, visitata in seguito da personaggi importanti, come San Pier Damiani e Dante Alighieri e vi fu monaco Guido d’Arezzo, inventore delle note musicali.
Molto famosa era la ricca biblioteca del monastero, che vide rifiorire studi classici, letterari, religiosi, per poi andare dispersa.
In seguito ad eventi catastrofici, culminati con la cosiddetta rotta del Po a Ficarolo del 1152, l’interesse economico e culturale abbandonò il territorio costiero, oramai invaso dalle acque, e i monaci lasciarono Pomposa alla volta del nuovo convento di San Benedetto di Ferrara nel 1553.
Il recupero dell’Abbazia di Pomposa venne attuato a partire dalla fine dell’Ottocento, quando tutti i fabbricati vennero acquisiti dal Demanio.
Nel 1976 fu istituito il Museo Pomposiano che raccoglie, nell’ex dormitorio dei frati, resti scultorei, dipinti e altre opere d’arte legate alla storia del monastero.