Nonostante dal punto di visita economico gli effetti penalizzanti della pandemia abbiano colpito in misura maggiore le Donne, il Recovery Plan ha stabilito che il 57% dei fondi saranno destinati a tecnologia e gren, settori a prevalente occupazione maschile.
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro il primo e fondamentale obiettivo da raggiungere è la crescita dell’occupazione femminile.
In particolare è necessario rimuovere gli ostacoli all’accesso al lavoro dovuti agli stereotipi di genere e al gap formativo delle ragazze rispetto ai ragazzi nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) motivando maggiormente nelle ragazze lo studio delle materie scientifiche e tecnologiche che rappresentano un formidabile accesso al lavoro.
Per quanto attiene al settore sanità, secondo dati recenti della FNOMCEO, i medici uomini sono il 55%, però se si stratificano i dati per età, si scopre che sotto i 50 anni i medici donne sono il 60% e tra i 40 e i 44 anni sono il 64%.
La femminilizzazione nella Professione Medica è già realtà. Pertanto in Italia l’obiettivo di aumentare la presenza femminile nelle materie STEM, almeno per quanto attiene alla facoltà di medicina è già raggiunto.
Analogamente l’obiettivo è già raggiunto per le Professioni Sanitarie.
Ciò che ancora discrimina le ragazze rispetto ai ragazzi è il raggiungimento di posizioni apicali, di ruoli di managment e non per ridotte competenze delle Donne Medico e Professioniste Sanitarie rispetto agli Uomini, ma per il perdurare di retaggi culturali anacronistici, per una visione miope secondo la quale le Donne Medico e Professioniste Sanitarie rappresentano un capitolo a parte, un settore cui “consentire” l’attività professionale ma sempre “sotto tutela” maschile per cui i Primari, i Direttori Sanitari, i Direttori Generali, i Presidenti Ordinistici, sono sempre in maggioranza Uomini.
In assenza di politiche che facilitino la condivisione dell’attività di cura, e in assenza di rinnovamento razionale degli assetti organizzativi delle professioni sanitarie che rendano compatibile l’attività professionale con la gestione familiare, le Donne Medico e Professioniste Sanitarie saranno sempre costrette a scegliere privilegiando la famiglia e rinunciando a progressioni di carriera o rinunciando alla famiglia per la carriera.
Ne consegue spesso la rinuncia alla maternità oppure la sua procrastinazione con il risultato di un’inevitabile riduzione della natalità.
La continua riduzione degli investimenti in sanità non ha certo giovato; né ha giovato l’atteggiamento di persistente sordità con cui le Istituzioni hanno accolto le ripetute richieste della Cisl Medici di apportare elementi di flessibilità, di tutela della genitorialità negli Accordi Collettivi Nazionali di Lavoro di Categoria.
Spetterà alle Donne della Sanità, con il loro lavoro, la loro abnegazione, permettere che il nostro Sistema Sanitario Nazionale, figlio di una Grande Donna della CISL Tina Anselmi, continui a garantire a tutti noi la tutela della salute così come spetterà ancora a loro concorrere all’aumento della natalità, esigenza improcrastinabile della nostra società.
La Cisl Medici, consapevole che superare il gender gap non solo nei numeri ma anche nei ruoli strategici di responsabilità gestionale in sanità rappresenti una strada importante ed ineludibile per la ripartenza del nostro Paese, per la crescita e il bene comune di tutta la nostra collettività, continuerà instancabilmente a fare la propria parte.
D.ssa Annalisa Bettin
Politiche del lavoro, di genere, pari opportunità e Coordinamento Nazionale Donne CISL Medici