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Fino al 24 novembre a Venezia è da non perdere Nigeria Imaginary, la mostra che la Nigeria presenta alla Biennale 2024, curata da Aindrea Emelife, curatrice di arte moderna e contemporanea Museo di arte dell’Africa occidentale, e composta da opere site-specific.

Tra le pareti scrostate del cinquecentesco Palazzo Canal la Nigeria ha trovato il luogo ideale per ricreare, idealmente, l’Mbari Club, il centro culturale fondato a Ibadan nel 1961 da Ulli Beier con il coinvolgimento di un gruppo di giovani scrittori tra cui Wole Soyinka e Chinua Achebe,  dove immaginare e porre le basi per il futuro.

Proprio su questo assunto poggia Nigeria Imaginary, che si compone delle opere di Tunji Adeniyi-Jones, Ndidi Dike, Onyeka Igwe , Toyin Ojih Odutola, Abraham Oghobase, Precious Okoyomon, Yinka Shonibare CBE RA e Fatimah Tuggar, che si sono avvalsi di varie tecniche  con cui hanno dato corpo a un ricordo, a un sentimento, a uno stato d’animo, a una visione.

Di più facile e immediata lettura sono le installazioni che prendono avvio da oggetti particolarmente significativi per la Nigeria, dai frammenti dell’autobus giallo Danfo, l’iconico mezzo di trasporto locale di Lagos, a un Ikenga bifronte a numeri di periodici come Nigeria Magazine, Drum Magazine e Black Orpheus, tutte pubblicate nel periodo dell’Mbari Club.

Di stampo pittorico è il dipinto di Tunji Adeniyi-Jones,  con il fiume arancione e giallo che colora i toni antichi del Palazzo, ricco di riferimenti storico-artistici nigeriani, dalle immagini della tradizionale scultura yoruba al modernismo di Ben Enwonwu, ma riprende anche la tradizione veneziana della pittura a soffitto e ne riverbera in modo innovativo gli stilemi.

L’esposizione ha un taglio più sociale, con l’impegno degli artisti che si indirizza soprattutto nei confronti del passato coloniale del Paese, dall’opera in due parti di Ndidi Dike, che con un’installazione scultorea accompagnata da alcune fotografie di grande formato riflette sulla rivolta nigeriana dell’ENDSARS, ma guarda anche al futuro con speranza.

Un’operazione simile la compie Onyeka Igwe, che con due lavori audiovisivi esplora i postumi del colonialismo e l’intreccio tra Nigeria e Gran Bretagna e l’installazione di collage digitali di Abraham Onoriode Oghobase presenta una rielaborazione dei documenti del periodo coloniale della Nigeria, con  parallelismi tra l’estrazione mineraria e lo sfruttamento della manodopera.

Colonizzazione e globalizzazione sono al centro dell’opera di Fatimah Tuggar che sfrutta la realtà aumentata per raccontare la marginalizzazione dell’artigianato indigeno e l’impatto dei nuovi sistemi produttivi sull’ambiente.

Anche Precious Okoyomon, con la sua torre radio scultorea, registra i cambiamenti nell’atmosfera e li trasforma nei suoni di campane e sintetizzatori elettronici, tra  le parole di poeti, artisti e scrittori nigeriani.

Un’installazione scultorea di Yinka Shonibare illustra un futuro in cui le opere d’arte antiche saccheggiate dalle forze britanniche dal Regno del Benin sono  esposte non come trofei di un passato perduto e immutabile, ma come testimonianze artistiche.

Infine la serie di disegni di Toyin Ojih Odutola  intreccia una narrazione semi-mistica che esplora l’Mbari Club in toni simbolico-metaforici.

Si tratta di un progetto complesso, stratificato e impegnativo, con cui la Nigeria prova a condensare la sua storia, infatti nei prossimi mesi la mostra sarà esposta al MOWAA di Benin City come evento inaugurale nel nuovo spazio di arte contemporanea nel MOWAA Creative Campus.