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Il grande regista cattolico del Novecento francese…

Robert Bresson nacque a Bromont-Lamothe il 25 settembre 1901 e, dopo aver conseguito la laurea in filosofia, si fece conoscere come pittore e fotografo, per poi approdare nel mondo del cinema. Nel 1934 realizzò il suo primo film, il mediometraggio Les affaires publiques, su tre giornate di un dittatore immaginari ed oggi l’unica copia è custodita a Parigi presso la Cinémathèque française. Durante la seconda guerra mondiale, Bresson trascorse oltre un anno come prigioniero di guerra e, nel 1943 uscì il suo primo lungometraggio, La conversa di Belfort, scritto da Jean Giraudoux su un convento in cui le suore accolgono le giovani peccatrici.

Per Perfidia,  del 1945. Bresson partì da un racconto di Jacques il fatalista e il suo padrone di Denis Diderot, sfrondandolo di ogni complicazione romanzesca e di molte figure di sfondo, ma il film venne ritirato dopo pochissimi giorni dalle sale.

Nel 1951 uscì Il diario di un curato di campagna, dall’omonimo romanzo di Georges Bernanos e considerato dalla critica il film dove il regista propose il suo stile austero, privo di melodrammaticità e di ogni psicologismo letterario.

Un condannato a morte è fuggito, uscito nel 1956, resta il suo capolavoro, tratto  da  un racconto autobiografico di André Devign,  ed una delle testimonianze più sentite sulla Resistenza francese, al punto che vinse il premio per la miglior regia al Festival di Canners.

Il successivo Diario di un ladro  del 1959 riprese, in chiave spirituale, il tema della redenzione di Delitto e castigo.

Nel 1962 Bresson girò Processo a Giovanna d’Arco, dove l’essenzialità venne  spinta al massimo e il successivo Au hasard Balthazar del 1966  è un racconto sulla vita e la morte di un asino che diventa una riflessione sul male e sulle sue influenze sulla vita degli uomini.

Mouchette – Tutta la vita in una notte del 1967, tratto da un romanzo di Bernanos, è anch’esso una storia sul male attraverso il suicidio di una giovane donna.

Così bella, così dolce del 1969, da un racconto di Dostoevskij,  vede ancora al centro il suicidio di una giovane donna, e, in flashback, la storia della sua vita di coppia della piccola borghesia parigina, dove compare sullo schermo una delle pochissime interpreti del regista che avranno in seguito una carriera come attrice professionista.

Seguì nel 1971 Quattro notti di un sognatore, tratto da Le notti bianche sempre di  Dostoevskij, di cui Luchino Visconti aveva già tratto un film nel 1957.

Nel 1974 ci fu Lancillotto e Ginevra, film dal budget importante e unico lavoro storico di Bresson, che evitò di soffermarsi sui costumi e sulle scenografie, filmando i personaggi come se si muovessero su uno scenario moderno.

Il diavolo probabilmente, controverso film del 1977, vide uno spaccato pessimista sulla gioventù dell’epoca attraverso considerazioni sul marxismo, l’ecologia e la sessualità e  L’Argent, ultimo film del regista  del 1983, ispirato a un racconto di Tolstoj, fu in concorso al Festival di Cannes vincendo il Grand Prix du cinéma de création.

Robert Bresson morì a Droue-sur-Drouette il 18 dicembre 1999.